Social network: mezzo potenziale, idoneo e capace per la consumazione del reato di diffamazione
«I social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel. È l’invasione degli imbecilli».
Queste le parole pronunciate da Umberto Eco nel breve incontro con i giornalisti nell’Aula Magna della Cavallerizza Reale a Torino, dopo aver ricevuto dal rettore Gianmaria Ajani la laurea honoris causa in “Comunicazione e Cultura dei media”.
Un giudizio certo severo quello espresso dal maestro Eco sui social media che hanno rivoluzionato la nostra vita reale e il nostro vivere sociale. Ma è del tutto errato?
Certo è che i social network sono diventati l’ambiente virtuale più frequentato al mondo. La Rete è uno spazio, un luogo, in cui confini fisici e le limitazioni temporali sono stati per sempre eliminati, vinti, un luogo in cui si susseguono, alla velocità quasi pari a quella della luce, pensieri e opinioni, complice la sua facile accessibilità.
Tutto questo, se dal punto di vista sociale e tecnologico è un successo dell’era contemporanea e suscita un crescente entusiasmo, dal punto di vista giuridico pone il legislatore di fronte a nuovi dubbi e problemi e soluzioni da trovare.
L’evolversi della coscienza “social”, la rapidità diffusoria delle informazioni attraverso internet, la quasi impossibilità o comunque la difficoltà di controllare la provenienza e l’autorevolezza delle informazioni hanno posto il problema di individuare il ruolo dell’informazione e della liceità della stessa.
Fino a che punto l’espressione di un pensiero o di una opinione deve considerarsi libertà e spontaneità della informazione e quando questi hanno delle conseguenze penali? Possiamo sempre dire ciò pensiamo senza porci il problema della veridicità delle fonti che citiamo e se essi sfocino nel reato di diffamazione?
Attraverso la Rete la diffamazione di personaggi pubblici, colleghi, datori di lavoro, amici, conoscenti o ex fidanzati ha raggiunto un elevato livello di offensività, grazie all’ampiezza del raggio di diffusione dell’espressione lesiva. Ed ecco allora che ciò che è virtuale è anche reale.
E se il nostro legislatore non ha ancora delineato il reato di diffamazione nell’ambito dei social network, ecco che in materia di diffamazione a mezzo Internet è stata particolarmente importante l’opera interpretativa svolta dalla giurisprudenza che ha fugato ogni dubbio sulla qualificazione della condotta diffamatoria in Rete.
La Corte di Cassazione, ha infatti confermato che “l’uso dei social network, e quindi la diffusione di messaggi veicolati a mezzo internet, integra un’ipotesi di diffamazione aggravata ai sensi dell’art. 595 c.p., comma 3, in quanto trattasi di condotta potenzialmente in grado di raggiungere un numero indeterminato o, comunque, quantitativamente apprezzabile di persone, qualunque sia la modalità informatica di condivisione e di trasmissione (Cassa. Pen n. Sez. V, 23/01/2017, n. 8482; Cass. pen. Sez. V, Sent., 20/01/2016, n. 2333).
Ancora, una recente sentenza dalla Corte di Cassazione (sentenza n. 50/2017) prevede che “la diffusione di un messaggio diffamatorio attraverso l’uso di una bacheca “Facebook” integra un’ipotesi di diffamazione aggravata ai sensi dell’art. 595 terzo comma del codice penale, poiché trattasi di condotta potenzialmente capace di raggiungere un numero indeterminato o comunque quantitativamente apprezzabile di persone; l’aggravante dell’uso di un mezzo di pubblicità, nel reato di diffamazione, trova, infatti, la sua ratio nell’idoneità del mezzo utilizzato a coinvolgere e raggiungere una vasta platea di soggetti, ampliando – e aggravando – in tal modo la capacità diffusiva del messaggio lesivo della reputazione della persona offesa, come si verifica ordinariamente attraverso le bacheche del social network, destinate per comune esperienza ad essere consultate da un numero potenzialmente indeterminato di persone, secondo la logica e la funzione propria dello strumento di comunicazione e condivisione telematica”.
In conclusione, grazie all’opera dei Giudici, le norme attualmente previste si applicano indipendentemente dal mezzo attraverso il quale i comportamenti vengono messi in atto: ciò che accade nel mondo on-line, quindi virtuale, è soggetto alle medesime regole previste per ciò che accade nel mondo offline, quindi reale.
Chissà che queste pronunce giurisprudenziali non spingano queste “legione di imbecilli” a frenare le loro pulsioni a esternare qualunque pensiero e opinione riportandoli sui binari del vivere civile che non conosce distinzioni tra mondo reale e mondo virtuale. Ai posteri l’ardua sentenza.